sexta-feira, 23 de maio de 2008

Sulla difesa della preghiera ‘Oremus et pro Iudaeis’da parte del rabbino Jacob Neusner

Fides, mercoledì, 26 marzo 2008

Intervento del prof. Michele Loconsole
Città del Vaticano — È dal luglio scorso, all’indomani della pubblicazione del Motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, che la polemica tra ebrei e cattolici ha ripreso a montare a causa della nuova formulazione della preghiera presente nell’antico rito del Venerdì santo, nota come Oremus et pro Iudaeis.
Quali le ragioni del contendere? Il vecchio testo in latino, invitava a pregare per i giudei “affinché Dio e Signore nostro tolga il velo dai loro cuori, perché anch’essi riconoscano Gesù Cristo, nostro Signore”. La cui orazione continuava con le parole: “Dio onnipotente ed eterno, che non respingi dalla tua misericordia neppure la perfidia giudaica, esaudisci le nostre preghiere che ti presentiamo per l’accecamento di quel popolo; affinché, riconosciuta la verità della tua luce, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre. Per lo stesso Cristo Signore nostro, Amen”.
Fin qui l’antico testo, che il Papa ha recentemente modificato in: “affinché Dio e Signore nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini”; e l’orazione in: “Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen”.
Perché questa modifica? Secondo il periodico La Civiltà Cattolica, “Nell’attuale clima di dialogo e di amicizia tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico è sembrato giusto e opportuno al Papa fare questo cambiamento, per evitare ogni espressione che potesse avere anche la più piccola apparenza di offesa o comunque dispiacere agli ebrei”.
Infatti, le parole della precedente formulazione che a molti — sia ebrei che cattolici — apparivano offensive erano soprattutto perfidia [N.Res.: em latim cristão = infidelidade, incredulidade] e accecamento. Entrambe sparite dal nuovo formulario. E allora, a ben guardare, la nuova preghiera per gli ebrei nella liturgia del rito antico non impoverisce ma arricchisce di senso la preghiera del rito moderno.
In una liturgia perennemente viva, come quella cattolica, i due riti, antico e moderno, possono infatti coabitare. Convivenza che in futuro potrebbe risolversi in un unico rito romano, prendendo il meglio da entrambi. Pensiero già espresso nel 2003 dall’allora Cardinale Ratzinger, quando scrisse una lettera a un importante esponente del tradizionalismo lefebvriano, il filologo tedesco Heinz-Lothar Barth.
Naturalmente, la nuova formulazione della preghiera vale solo per la liturgia del rito antico, e quindi nella quasi totalità delle chiese cattoliche il Venerdì santo si è continuato a pregare per gli ebrei con il formulario del Messale di Paolo VI del 1970, secondo cui, come è noto, si prega per gli ebrei affinché Dio “li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”.
Se fin qui la posizione cattolica, cosa dicono gli ebrei? Mentre il mondo rabbinico europeo ha elevato numerose e dure proteste contro l’iniziativa del Papa, quello americano si è dimostrato di gran lunga più ragionevole. Basti citare Jacob Neusner, il rabbino citatissimo da Benedetto XVI nel suo noto volume Gesù di Nazaret. Neusner, con un ragionamento pacato e corretto ha affermato, che “Israele prega per i gentili. Perciò anche le altre religioni monoteistiche, compresa la Chiesa cattolica, hanno il diritto di fare la stessa cosa, e nessuno dovrebbe sentirsi offeso. Qualsiasi altro atteggiamento nei confronti dei gentili impedirebbe a questi ultimi l’accesso all’unico Dio rivelato a Israele nella Toràh”. La preghiera cattolica manifesta lo stesso spirito altruista che caratterizza la fede del giudaismo.

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